Rosa fresca aulentissima ch'apari inver la state… Tragemi d'este focora… Per te non aio abento notte e dia… (Rosa fresca, profumatissima, che appari in primavera… liberami da questi tormenti… Per te non ho pace notte e giorno)
Con queste parole un giovane si rivolge alla ragazza che ama. E la fanciulla risponde: Se di meve trabàgliti follia lo ti fa fare. Lo mar potresti arompere, ai venti asemenare… L'avere d'esto secolo tutto quanto asembrare: averemi non potteri… (Se soffri per me sei folle. Potresti arare il mare, seminare ai venti, mettere insieme tutte le ricchezze del mondo, non riusciresti mai ad avermi.)
E', questo, l'inizio di un lungo testo poetico, conosciuto col nome di "Contrasto" e composto nel lontano Medio Evo da un giullare siciliano probabilmente chiamato Ciullo d'Alcamo. I giullari erano uomini di spettacolo che in tempi molto antichi giravano per le piazze o le corti intrattenendo le persone con canti, giochi e recite. Il loro repertorio presentava sempre determinati temi; per esempio, il lamento della mal maritata (ossia della donna non contenta del marito), i desideri della ragazza che voleva sposarsi, le Albe (quando i due innamorati si separavano dopo avere trascorso insieme la notte) e i Contrasti, cioè i litigi più o meno scherzosi fra innamorati.
Di Cielo d'Alcamo abbiamo solo questo componimento, in cui due innamorati fingono di litigare perché il giovane fa delle avances usando tutti gli espedienti che la fantasia gli suggerisce mentre la ragazza le respinge ostinatamente. Il giovane dice che per lei ha perso la pace, che il destino vuole il loro amore, che lei non si può rifiutare perché la donna non sa resistere all'uomo. La ragazza, per conto suo, si dichiara disperata al punto che andrà a rinchiudersi in un convento per liberarsi di lui.
Entrambi, comunque, sanno che stanno scherzando e che alla fine si abbandoneranno all'amplesso amoroso.
L'opera è di eccellente fattura e rivela la cultura e la capacità creativa del suo autore. Autore del quale, in verità, non sappiamo nulla. Neanche del suo nome siamo sicuri perché la sua poesia è giunta fino a noi in un antico manoscritto che reca, alla fine del testo, un nome poco comprensibile; sembra che si possa leggere Ciullo d'Alcamo. Ciullo era in Sicilia il diminutivo di Vincenzo. Qualcuno, per altro, vi legge Cielo, diminutivo di Michele.
Che Ciullo d’Alcamo fosse un giullare lo deduciamo dal suo Contrasto, perché quel genere di poesia apparteneva appunto al repertorio dei giullari. L'autore in un verso fa riferimento alle leggi di Federico II, le cosiddette Costituzioni di Melfi, e dice in un altro verso “Viva l’imperatore, grazie a Dio”. Poiché quelle leggi sono del 1231 e Federico II, appunto l’imperatore, morì nel 1250, possiamo dire con certezza che l’autore del Contrasto visse nel XIII secolo, al tempo di quel grande sovrano, e scrisse la sua opera nell’arco di tempo compreso fra il 1231 e il 1250.
Dall'esame della lingua deduciamo che Cielo d’Alcamo è siciliano, anche se la sua espressione si arricchisce di vari termini dell'Italia meridionale, come avveniva per tutti i giullari, che, spostandosi continuamente, finivano per parlare una lingua ibrida.
Dunque, alle origini della letteratura italiana, mentre alla corte di Federico II fioriva, scritta in un siciliano raffinato, la lirica d'arte della famosa Scuola poetica, nella nostra terra nasceva anche questo capolavoro della poesia popolare per merito di un autore che forse apparteneva al popolo, ma era colto, come si desume da tanti elementi, a cominciare da quella bella immagine iniziale.