Lorenzo Greco, un siciliano che vive da moltissimi anni in Toscana, docente universitario, autore di numerosi e interessanti saggi, è anche un fine poeta che si lascia ispirare in modo particolare dall’amore per la sua città natia, Mazara del Vallo. Per motivi familiari e professionali vive lontano da essa, ma vi si reca spesso fisicamente o idealmente. "Lo conosco soprattutto come un viaggiatore - dice di lui un eminente studioso, Maurizio Bettini - Uno strano viaggiatore, però, che viaggia sempre negli stessi luoghi. Due. Il primo è la Sicilia, Mazara del Vallo in particolare, da cui la sua famiglia proviene, dove lui è nato e però non ha mai vissuto; il secondo è la Toscana, Livorno in particolare, dove ha sempre vissuto… E quando è qui sogna e ricorda là, quando è là sogna e ricorda qui."
Alla sua patria siciliana alcuni anni addietro Lorenzo Greco ha dedicato il Canzoniere per Mazara, una raccolta di liriche dalle vibrazioni intense. Recentemente è tornato sul tema prediletto, ma con una variazione assai significativa, scrivendo Le città gli amori dove evidenzia in chiave lirica il rapporto affettivo che lo lega alle due città delle quali parla Bettini. In entrambe le opere la città della memoria è presente con i suoi monumenti di tufo color miele, le sue strade e stradine del centro, dove vivono molti extracomunitari, i suoi spazi della periferia e della campagna circostante, il suo mare e il suo fiume, il Mazaro.
Non si tratta di semplici descrizioni paesaggistiche, ma di momenti lirici intensi in quanto ognuno di quei luoghi suscita un ricordo, un’immagine, un’emozione. E’ pathos, dunque, è poesia. In una delle sue liriche più belle scrive così: "Questo a Mazara / mi assale alle spalle, / da una cantonata /una pietra / un albero un profumo."
E nel recupero della memoria ritornano anche i volti amati nel passato ormai mitico. “Nonno, quando dicevi ciliegie / sul tavolo ci affollavamo come beccafichi.” E ritorna l'immagine del bisnonno: quando i bambini passavano per la strada "all'angolo di nonno Simone / seduto al balcone si gridava / assa bbinirica ! - e lui: / salutamu picciriddi! - E poi ci sono parole per lo zio materno: “…se guardiamo indietro anno dopo anno non c’é un agosto che non abbiamo tagliato insieme i fichidindia e bruciato stoppie e paglia nel fumo dei mesi andati.” I nonni materni, i genitori, gli zii quasi coetanei, i cugini, ossia l’umanità che ha popolato la sua infanzia rendendola unica e impareggiabile, ritornano nelle sue liriche in immagini delicate e al tempo stesso struggenti.
Oggi al fanciullo che visse anni spensierati si contrappone l’uomo che talvolta medita sulle vicende non sempre fortunate della sua vita e che ritorna nell’amata città “un po’ vivo un po’ morto / col passo un po’ fiero, il collo un po’ torto…”
A questo punto sorge il dubbio che la memoria per Lorenzo Greco non serva soltanto a recuperare il passato, ma favorisca l’evasione dal mondo reale non sempre appagante verso quello ideale dell’infanzia serena, che fa tornare in mente la saturnia età dell’innocenza tanto cara agli antichi.