L'opira di pupi era fino alla metà del secolo XX lo spettacolo più amato dal popolo. I nobili e i borghesi frequentavano i teatri dove venivano rappresentate opere liriche o di prosa, ma il popolo più modesto era innamorato del teatro dei burattini che metteva in scena le storie dei Paladini di Francia. Orlando, Rinaldo, lo stesso Carlo Magno erano personaggi cari a quel pubblico, che magari il più delle volte non sapeva leggere e scrivere, ma dell'epopea francese sapeva tutto e si appassionava per quelle vicende; s'indignava per il tradimento di Gano di Magonza, trasformato in Cani di Macanza; seguiva ora con ammirazione ora con sdegno le azioni della bella e pur volubile Angelica; piangeva per la morte del suo eroe prediletto, Orlando.
Racconta il Pitrè, appassionato ed intelligente studioso delle memorie siciliane, che nei teatri di Palermo o di Catania, quando Orlando moriva, dopo aver tentato inutilmente di chiamare in aiuto Carlo Magno con il suo mitico olifante, la gente si alzava in piedi e si toglieva il berretto in segno di massima riverenza. E dire che erano soltanto dei pupazzetti vestiti di latta e di stoffa, ma per il pubblico, che li seguiva frequentemente, finivano per avere un'anima ed incarnare dei valori, in particolare la lealtà, l'amor patrio, la fede.
La diffusione del cinema segnò la morte dell'opera dei pupi, intesa come spettacolo per il grande pubblico; a livello amatoriale quell'arte antica viene ancora coltivata a Palermo dalla famiglia Cuticchio e a Catania dalla famiglia Pasqualino.