Io conosco le antiche strade della città
che sanno dell’acre gusto delle memorie
dell’effluvio del tempo della vita e della morte
della lotta alla vita e della resa alla sorte.
Io conosco il mesto sorriso delle genti del Mazaro
il pasto di lagrime salate delle donne in attesa dei loro morti,
le grida laceranti (e non sentite) delle spose per gli uomini
che immoti giacciono coperti di acque saline.
Io conosco il singhiozzo di bimbi atterriti,
attaccati alle vesti di madri inconsolate
le parole, le promesse come sassi scagliati
sui visi di quei bimbi, sui volti delle madri.
Io conosco le mute processioni di popolo
dietro bare, troppe bare,
che sanno di sudore, di sale, di sangue,
di ingiustizia e di muti lamenti.
Io conosco la statua lapidea di San Vito a mare
poggiata sulla roccia e sull’acqua,
che dispensa lo sguardo, il braccio protettore e
congiunge le sue lagrime al mare per i figli non tornati.
Io conosco le marrobbiate del fiume spiritato
le barche ribaltate e frantumate,
i moli infangati, l’esalazioni di acque arrabbiate,
le facce disperate, dei pescatori, senza pianto.
Io conosco le chiese di questa città
che sanno d’incenso, di mani sul petto,
di voci ormai spente, di riso e di gemito,
di passi dubbiosi e di gravi rimorsi.
Io conosco il rumore dei treni in partenza, gli abbracci
disperati e di speranza, i sinuosi e vetusti vicoli della Pilazza,
il ghetto ebraico dalle basse case annichilite dal silenzio,
il suono del tamburo alla ricerca dei piccoli smarriti.
Io conosco i virgulti della città, non i figli dei nostri figli
nati in terra italica o in lande sperdute e mai più
tornati a scrutare i sussulti del Mazaro e a tergere
le castigate lagrime di sabbia rossa portata dal Ghibli.
Io conosco le strade, le piazze, il lungomare, il fiume, le chiese,
i palazzi, la gente, l’indifferenza, i lamenti, la collera abortita,
i soprusi, le cose non fatte, il dolore del distacco senza ritorno,
la povertà, la nostalgia, l’abbandono nelle lagrime non fluite.
Io conosco questa città.