Molti terreni sono utilizzati per la coltura della vite, diffusa in Sicilia quanto l’olivo e caratteristica in alcune zone, come le province di Trapani e di Agrigento, perché forniscono una splendida varietà di uve per la produzione del vino. In altre zone della nostra isola esistono vigneti che offrono al mercato dei vini alcune varietà famose come il nero d’Avola per esempio, ma preferisco raccontarvi di fatti e situazioni a me più familiari come la produzione di un vino detto “Bendicò” da parte della Settesoli di Menfi. Dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: alla fine del romanzo, il cane Bendicò finisce i suoi giorni in maniera triste perché “diventato troppo tarlato e polveroso, “viene buttato giù dalla finestra “in un angolo del cortile” mentre i suoi occhi vitrei esprimono “l’umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare”. Sempre nel tessuto narrativo del nostro romanzo, si coglie qua e là il profondo legame dell’autore con la sua terra, quando descrivendo le colture della tenuta di Donnafugata accenna ai vigneti e alla “dolce insolia, quell’uva tanto brutta da vedere quanto buona da mangiare”, che viene adoperata insieme ad altre uve per produrre il vino. Le figure più note del romanzo, dal principe don Fabrizio al nipote Tancredi, dalla deliziosa Angelica alle figlie del principe, bruttine e simili a scimmiette, ritornano alla mente dei miei lettori come la figura di don Calogero Sedàra, simbolo di una classe sociale emergente, fiero di possedere tanti feudi al punto da dichiarare in presenza della famiglia Salina: ”… è giusto che i giovani conoscano quello su cui possono contare subito. Nel contratto matrimoniale assegnerò a mia figlia il feudo di Settesoli, di salme 644, … terre di prima qualità ventilate e fresche e 180 salme di vigneto e uliveto a Gibildolce…” Oggi l’azienda vinicola più vicina alle terre “del Gattopardo”, porta il nome di Settesoli e si colloca nella zona di Menfi, al confine tra la provincia di Agrigento e Trapani dove ampie tenute si coltivano a vigneti da cui si ricavano alcuni vini siciliani pregiati. La vite, amata da Giosuè Carducci, in un componimento tratto da Rime nuove, viene contrapposta all’albero di alloro che “ravviluppato nell’intatta veste /verdeggia eterno”… con questi versi : “Amo te, vite, che tra bruni sassi /pampinea ridi ed a me pia maturi/ il sapiente de la vita oblìo “…(da Colloqui con gli alberi).
La nostra pianta, detta vite europea (vitis vinifera) vive spontanea in Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo. La più antica specie americana introdotta in Europa è la Vitis labrusca ancora oggi usata, in alcune sue varietà, per il frutto; altre specie americane resistono alla filossera come la vitis rupestris per esempio, altre specie entrano nella costituzione di alcuni ibridi usati come portinnesti (la cordifolia, la candicans e la cinerea). L’area occupata dalla vite europea è molto estesa e interessa le zone più diverse, dai 300 metri dell’Ungheria ai 1300 metri dell’Etna, anche se la pianta è molto esigente in fatto di clima e di terreno ed è soggetta alle avversità atmosferiche e comunque fisiche dell’ambiente. Col nome di vite si indicano alcune piante che le somigliano: la vitis alba, cioè la brionia, la vitis idea, arbusto delle Ericacee, diffuso nelle zone montane, simile al mirtillo rosso per il frutto amarognolo usato per bevande rinfrescanti e diuretiche, la vite del Cànada (detta comunemente vite americana) appartenente alla famiglia delle Vitacee, pianta rampicante che può raggiungere 30 metri di lunghezza e riveste pareti molto estese. Nel piccolo giardino della mia amica Carmela, la parete che confina con la costruzione del vicino di casa era interamente ricoperta dalle foglie della vite americana, che assumeva i colori rosso- sfumato del tramonto e della luce del sole, pronto a tuffarsi nel mare della nostra terra siciliana, quando nel mese di Ottobre la natura si prepara per la mestizia dell’autunno che priva gli alberi delle loro foglie e sembra lasciarli in assoluta povertà e tristezza. Lo splendore delle foglie variopinte illuminava il lato destro del giardino e dal terrazzo di casa, la signora Rosa si rallegrava di quello spettacolo e comunicava la sua gioia di esistere a tutti noi, specie a noi ragazze che ci fermavamo con lei molto volentieri, a parlare di tutto, a stupirci dell’albero di limone che dal piccolo giardino portava fin sulla balconata i suoi rami e i suoi frutti gialli come la luce del sole e profumati come le notti del lontano Oriente. Così Carmela ed io ci fermavamo in quel posto delizioso ragionando di varie cose, come la scuola, visto che eravamo ai primi anni del nostro lavoro di insegnanti, dei viaggi da poter fare insieme, della vita, con tutte le attese e le certezze della nostra età giovanile, assaporando il caffè di mamma Rosa, pronta a sorridere di certe inezie per trasmettere a noi la sua grande carica di fiducia e di lieta speranza. Ora quel tempo ci appare lontano, è vero, ma se vive dentro di noi nessuno potrà mai cancellare quei momenti vissuti di certo in serena letizia. Il giardino da qualche tempo non vede le splendide foglie della vite perché certi lavori di restauro della costruzione vicina hanno danneggiato la vite americana senza distruggerla, per fortuna: i rami sicuramente riprenderanno vigore e saranno capaci di rivestirsi di luminose splendide foglie variopinte come un tempo…