Lo storico Michele Amari, considerato il più grande studioso delle vicende siciliane al tempo degli Arabi, nacque a Palermo nel 1806 e morì a Firenze nel 1889.
Pubblicò nel 1842 La storia del Vespro siciliano, ma per le idee liberali che essa lascia intravedere fu costretto dal reazionario governo borbonico a rifugiarsi a Parigi. Lì si dedicò allo studio della lingua araba, che gli consentì di approfondire la conoscenza della storia siciliana relativamente all'epoca della dominazione musulmana.
Dopo l'insurrezione palermitana del gennaio 1848 ritornò in Sicilia e diventò prima deputato e poi ministro delle finanze del governo rivoluzionario. Ma quando la rivoluzione fu repressa dovette lasciare di nuovo la Sicilia per ritornare a Parigi (aprile del 1849), dove rimase per dieci anni. Rientrato in Italia, fu nominato professore di Arabo prima a Pisa (1859) e poi a Firenze (1860). Dopo la proclamazione del Regno d'Italia divenne senatore (1861), mentre dal 1862 al 1864 ricoprì la carica di ministro dell'Istruzione.
Le sue opere più importanti sono: la Storia dei musulmani in Sicilia (1854-72), la Biblioteca arabo-sicula (1857-87), le Epigrafi arabiche di Sicilia (1875-85). Queste opere, e in modo particolare la prima, mettono in luce la sua straordinaria capacità di ricostruire la civiltà siciliana al tempo della dominazione musulmana valutando con acume il ricchissimo patrimonio di documenti che era riuscito a raccogliere. Degna di considerazione é anche la sua ampia visione dei rapporti culturali e politici tra il mondo musulmano e l'Italia dell'Alto Medio Evo.
Per tutte queste ragioni le opere dell'Amari sono da considerare fra i capolavori della storiografia italiana dell'Ottocento.