Intorno al 70 a.C. la Sicilia, da tempo provincia romana, venne governata da Caio Licinio Verre, che godeva di appoggi potenti.
Uomo colto ed amante dell'arte, ma al tempo stesso disonesto e malvagio, Verre fece nella nostra isola ruberie e vessazioni di ogni sorta.
Addirittura non ebbe scrupolo di spogliare molti templi delle loro ricchezze e di trafugarne le preziose statue.
I siciliani, per ottenere giustizia, si rivolsero ad un giovane, ma valente avvocato, Marco Tullio Cicerone, che avevano avuto modo di apprezzare quando governava la Sicilia occidentale.
Cicerone si recò in Sicilia, mise insieme un'infinità di prove contro Verre e si presentò ai giudici forte del materiale raccolto e della sua eccezionale arte oratoria. "Verre - tuonò nell'aula del tribunale - in punizione dei suoi reati riceva con la vostra sentenza un degno suggello della sua sciagurata vita e della sua indegna condotta."
Cicerone aveva in animo di pronunziare contro Verre alcune orazioni per evidenziarne tutti i misfatti, ma bastò la prima orazione perché Verre rinunciasse al processo per intraprendere volontariamente la via dell'esilio. Era il successo dei Siciliani e di Cicerone, ma era soprattutto il successo della giustizia.