Nel lontano 1850, in un paesino dei monti Iblei, scomparve un giovane, Salvatore Magazzino. Il suo datore di lavoro, Michele Mangiameli, fu accusato di averlo ucciso e, poiché numerosi testimoni giuravano sulla sua colpevolezza, fu condannato a quindici anni di carcere. L'uomo morì prima di riacquistare la libertà.

Qualche anno dopo ritornò in paese il giovane creduto morto dichiarando che si era allontanato volontariamente perché non sopportava i tradimenti della moglie.

I giudici, visto che i testimoni avevano giurato il falso, li fecero arrestare, ma subito dopo furono costretti a scarcerarli perché il reato era caduto in prescrizione.

Oggi, a distanza di 150 anni, una pronipote dell'uomo ingiustamente condannato chiede alle autorità competenti che venga riabilitata la memoria del prozio e che, al tempo stesso, venga restituito l'onore alla sua famiglia. Chiede, altresì, che nella piazza del paese si collochi un monumento a quell'uomo per una forma di riparazione.

E' chiaro che quello sarebbe anche il monumento a tutte le vittime degli errori giudiziari.