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La Sicilia e gli alleati

La Sicilia e gli alleati
Autore:
Manoela Patti
Email:
a.scungio@donzelli.it
Casa Editrice:
Donzelli Editore
Prezzo:
€ 19.00
Anno e luogo di Pubblicazione:
2013 - Roma

Recensione

«Il periodo dell’occupazione alleata, intenso e unico, si è fissato nella memoria come cesura tra il mondo vecchio e il mondo nuovo. Ma influì solo fino a un certo punto sul modo in cui fu rifondato lo Stato nazionale. La democrazia fu una conquista anche italiana. Pur attraverso un percorso tortuoso, lento, contraddittorio, la politica siciliana riuscì a imboccare quella stessa strada intrapresa dalla classe dirigente italiana, e a costruire un futuro democratico e repubblicano».

Il 10 luglio 1943 le armate americane e britanniche sbarcarono in Sicilia. «Chi vide approdare la grande armata – osserva Salvatore Lupo – ebbe l’impressione visiva, spaventosa e affascinante, di una forza irresistibile. Lo sbarco segnò la svolta nella guerra e quindi nella storia mondiale. Da qui le infinite rievocazioni dell’evento nei media, e le annesse mitologie: la Sicilia del’43 rappresenta tutt’oggi un luogo di straordinaria portata simbolica». Ed è proprio in virtù di questo mito che la memoria è intervenuta semplificando, appiattendo, cancellando le contraddizioni insite nello straordinario evento. I primi a essere cancellati sono i britannici: la memoria colloca quasi soli al centro della scena gli americani, sapendoli destinati a governare il mondo nuovo, nel bene e nel male. Le contraddizioni sono molteplici, ed è su di esse che il lavoro di Manoela Patti, sulla base di una ricca e dettagliata documentazione, intende far luce. La Sicilia fu il primo lembo d’Europa occupato dagli alleati, e come tale rappresentò un «laboratorio» in cui sperimentare un modello amministrativo da utilizzare poi su tutto il territorio italiano, ma condizionato ab origine da una sottile ambiguità: i soldati che sbarcavano in Italia erano nemici o liberatori? La stampa alleata paragonò le armate di Patton e Montgomery ai Mille di Garibaldi, ma l’impatto con la popolazione riportò presto il conflitto alla tragica dimensione dello scontro totale, in cui i civili sono coinvolti come e più degli eserciti. Il precoce dopoguerra dell’isola mise presto in luce l’ambiguità della good war combattuta per la democrazia. Invasori nel nome della libertà, gli alleati furono travolti dallo scarto fra la retorica dell’interventismo democratico e la realtà dell’occupazione. E in breve emerse l’assenza di una vera e propria politica di occupazione, demandata alle forze militari sul campo. Un ruolo significativo fu giocato poi da modelli e stereotipi di tipo culturale e razziale, sui quali pesò anche l’esperienza dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti. In Sicilia, per la prima volta, queste idee si confrontarono con la realtà di una società complessa, affatto arretrata, e capace di opporre i propri modelli culturali, sociali e politici. Allo stesso tempo, l’emergenza bellica pose gli alleati davanti a un’altra fondamentale questione: la capacità di sostenere l’occupazione garantendo condizioni di vita accettabili alle popolazioni locali. La potente macchina da guerra alleata perse però queste sfide: la politica siciliana si riorganizzò da sé, anche grazie all’appoggio della pedagogia democratica alleata, e tra il 1943 e il 1945 l’isola fu attraversata da una fortissima conflittualità sociale scatenata dalle terribili condizioni di vita. Nonostante ciò, il mito dei liberatori andò consolidandosi proprio a partire da quel drammatico dopoguerra.