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Viaggio nelle Eolie

Viaggio nelle Eolie
Autore:
Alexandre Dumas
Email:
servizioclienti@pungitopo.com
Casa Editrice:
Pungitopo Editore
Prezzo:
9 euro
Anno e luogo di Pubblicazione:
-
Note:
Formato 15,5 x 21 - pp. 80

Recensione

Alicudi è l'antica Ericodes di Strabone, che del resto, come tutti gli antichi, non conosceva che sette isole Eolie: Strongyle, Lyparis, Vulcania, Didime, Phoenicudes, Ericodes ed Eronimos. Quest'ultima, che a quel tempo era forse la più importante tra tutte, è stata talmente erosa dal fuoco interno che la divorava, che i suoi crateri sprofondati hanno aperto parecchi passaggi al mare e le sue diverse cime, che si elevano solo oggi sulle onde, formano le isole di Panarea, Basiluzzo, Lisca Nera, Lisca Bianca e Dattilo. Inoltre, qualche scoglio sparso, che senza alcun dubbio fa parte della stessa terra, s'innalza ancora nero e nudo dalla superficie marina, col nome di Formiche. È difficile vedere qualcosa di più triste, di più cupo e di più desolato di questa sfortunata isola che costituisce l'angolo occidentale dell'arcipelago eoliano. È un angolo della terra scordato al momento della creazione e rimasto tale dal tempo del caos. Nessuna strada porta alla vetta o costeggia le sue rive: alcune cavità solcate dalle acque piovane sono gli unici passaggi che si offrono ai piedi tormentati dai sassi aguzzi e dalle asperità della lava. Su tutta l'isola nemmeno un albero, né un po' di vegetazione per riposare gli occhi; solo in fondo a qualche fenditura della roccia, negli interstizi delle scorie vulcaniche, si scorge qualche raro gambo di quelle eriche per le quali Strabone chiamò talvolta l'isola Ericusa. E' il solitario e pericoloso cammino di Dante, dove, tra le rocce ed i detriti, il piede non può procedere senza farsi aiutare dalla mano...

Lipari, con il suo castello costruito su una rocca e le sue case disposte secondo le sinuosità del terreno, presenta un aspetto quanto mai pittoresco. Del resto, avemmo tutto il tempo di ammirare la sua posizione, considerate le innumerevoli difficoltà che ci fecero per lasciarci sbarcare. Le autorità, alle quali avevamo avuto l'imprudenza di ammettere che non venivamo per il commercio della pesca, il solo commercio dell'isola, e che non comprendevano che si potesse giungere a Lipari per altre ragioni, non volevano ad ogni costo lasciarci entrare. Alla fine, quando passammo attraverso un cancello i nostri passaporti che, per paura del colera, ci furono presi dalle mani con delle gigantesche pinze, e una volta che si furono assicurati che venivamo da Palermo e non da Alessandria o da Tunisi, ci aprirono il cancello acconsentendo a lasciarci passare.

C'era un bel po' di differenza tra questa ospitalità e quella di re Eolo...

Un canale, largo appena tre miglia, separa Lipari da Vulcano. Grazie all'abilità dei nostri rematori, riuscimmo a percorrere questo tragitto in meno di quaranta minuti. Vulcano, l'antica Vulcania, è l'isola eletta da Virgilio a succursale dell'Etna e fucina di Vulcano.

Insula Sicanium juxta latus Eoliamque

Erigitur Liparem, fumantibus ardua saxis;

Quam subter specus et cyclopum exesa caminis

Antra Aetnea tonant, validique incudibus ictus

Auditi referunt gemitum, striduntque cavernis

Stricturae chalybum, et fornacibus ignis anhelat:

Vulcani domus et Vulcania nomine tellus.

Del resto, l'isola è proprio degna di tale onore poiché, sebbene sia evidente che dopo diciannove secoli abbia perduto un po' del suo calore, una bellissima fumata è succeduta al fuoco che sicuramente a quel tempo usciva. Vulcano, simile all'ultima vestigia di un mondo bruciato, si spense dolcemente in mezzo al mare che sibilava, ribolliva e gorgogliava tutt'intorno...

Ci svegliammo di fronte a Panarea. Per tutta la notte il vento ci era stato contrario ed i nostri uomini si erano alternati ai remi: ma non avevamo fatto un gran percorso, ed eravamo appena a dieci leghe da Lipari. Siccome il mare era assolutamente calmo, dissi al capitano di gettare l'ancora, di fare provviste per la giornata e, sopratutto di non dimenticare i crostacei. Infine, scendemmo nella scialuppa, prendendo Pietro e Filippo come rematori e gli ordinammo di condurci su uno dei venti o trenta isolotti sparsi tra Panarea e Stromboli. Dopo un quarto d'ora di navigazione sbarcammo a Lisca Bianca. Jadin si sedette, rimpianse il suo parasole, montò la sua camera bianca e si mise a fare un disegno generale delle isole. Quanto a me, presi il mio fucile e, seguito da Pietro, mi misi in cerca di avventure, che si limitarono all'incontro con due uccelli marini, della specie dei beccaccini, che uccisi entrambi. Era già più di quanto avessi potuto sperare, visto che l'isolotto era completamente deserto e senza neanche un ciuffo d'erba...

...tutti gli abitanti di Stromboli, erano accorsi sulla spiaggia. La nostra speronara faceva scalo assiduamente in quel porto, ed i nostri marinai erano ben conosciuti nell'isola: ogni autunno facevano quattro o cinque viaggi per caricare uva passa. Nel corso dell'anno tornavano altre due o tre volte, più che sufficienti per stabilire rapporti di ogni natura. Appena fummo a portata di voce, tra i nostri uomini e gli abitanti di Stromboli si intrecciarono conversazioni del tutto particolari, scandite da domande e risposte in dialetto stretto, per noi incomprensibili. Capivamo soltanto che si doveva trattare di colloqui amichevoli: Pietro sembrava avere degli interessi ancora più affettuosi da sbrogliare con una ragazza, che non pareva assolutamente preoccupata di celare i sentimenti pieni di affetto che nutriva per lui. Infine l'idillio si animò a tal punto che Pietro iniziò a dondolarsi dapprima su una gamba, poi sull'altra, fece due o tre saltini preparatori e sul ritornello intonato da Antonio, iniziò a ballare la tarantella. La giovane strombolana per non sembrare scortese si mise a sua volta a danzare. Questa giga a distanza durò fin quando i due ballerini caddero sfiniti, uno sul ponte e l'altra sulla spiaggia.