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L'inquilino dentro

L'inquilino dentro
Autore:
Francesco D’Antuono – Giovanni Piazza
Email:
info@inquilinodentro.com
Casa Editrice:
Aracne
Prezzo:
12 euro
Anno e luogo di Pubblicazione:
2008 - Roma
Note:
www.inquilinodentro.com

Recensione

È una storia raccontata in prima persona. Il protagonista ha subito una sorta di scippo. Qualcuno si è intrufolato nel suo appartamento e lo ha occupato. In breve tempo comincia a spadroneggiare, relegando il legittimo proprietario a un ruolo marginale.

Quest’ultimo cerca di mandare via l’occupante molesto, ma scopre di non avere armi a disposizione. Nessuna legge lo tutela, nessuna forza pubblica può intervenire per sfrattare l’intruso. Intruso che, come si scopre presto, è un personaggio enigmatico, a metà tra il fiabesco e il reale. E si scopre inoltre che il fantomatico signor P. è la personificazione della malattia che ha colpito il protagonista: la malattia di Parkinson. Simboli e scene realistiche si alternano. Il racconto vuole essere veloce, tessuto con un tono umoristico e un linguaggio leggero, costruito come un pastiche. Spuntano qua e là le esperienze più disparate: entrano a far parte del discorso frammenti di canzoni di Julio Iglesias o Tom Waits, o momenti di opere letterarie celebri, da Baudelaire a Rilke, passando per Shakespeare.

Ecco la prima reazione del protagonista, quando scopre di avere il Parkinson e cerca di nasconderlo alle persone che incontra:

«Chi mi guarda e vede le mie mani in perenne movimento non pensa al signor P. Va per le spicce: guarda quel tizio come ha bevuto, alle nove del mattino. Guarda che sbronza che sfoggia a quest’ora. Oppure: chissà che pasticche prende quello lì. Oppure: guarda come si sfonda di canne. Oppure: è fatto di eroina come una cocozza, non lo vorrebbero neanche a San Patrignano. Caro fruttarolo, cara cassiera della banca, caro impiegato delle poste, che devo dirti? Come mi giustifico? Potrei suggerirti io stesso una battuta preconfezionata. Cos’hanno in comune la brava massaia e l’overdose? Tutt’e due stendono il bucato.

Come faccio a dirti che la mia vita è cambiata da quando la dopamina ha preparato sul letto la valigia di un lungo viaggio e senza dirmi niente ha trovato il coraggio?

Come faccio a dirti che sono astemio, che non ho mai fatto uso di droghe né leggere né pesanti, e che al massimo fumo qualche sigaretta, giuro, si-ga-ret-ta, specialmente da quando ho letto sul sito di Michael J. Fox, anche lui affetto da Parkinson, che la nicotina contrasta l’inarrestabile incedere del signor P.?

E così, caro fruttarolo, cara cassiera della banca, caro impiegato delle poste, ho cominciato a nascondermi. O a pensare stratagemmi capaci di mascherare il mio malessere. Sai, prima di uscire di casa levavo i soldi dal portafogli e li mettevo nella tasca sinistra. A sinistra, perché la mano destra tremava troppo. La dopamina mi manca specialmente nell’emisfero sinistro del cervello. La mano destra restava in tasca, in spregio ad ogni regola della buona creanza, mentre con la sinistra lasciavo scivolare nelle tue mani:

a) i soldi; b) il modulo; c) il bollettino di conto corrente postale.

Dovevo fare in fretta, prima che il tremolio mi sorprendesse con la mano a mezz’aria. Alle tue mani, fammi appoggiare alle tue mani. Se la mia, di mano, rimane in tensione, nel giro di due secondi vibra come i petti dei francesi durante la Marsigliese. Non me lo posso permettere. Capiresti tutto, caro fruttarolo, cara cassiera della banca, caro impiegato delle poste. E io non voglio che tu capisca. Non voglio che tu mi giudichi.»

Altro esempio: siamo al momento in cui il protagonista decide di vivere appieno nonostante la presenza ingombrante. Capisce che può sfruttare come un vantaggio l’invalidità che consegue alla malattia:

«Pensate alle frittate, sbattute come da pochi altri mai. A zabaioni inediti, figli dell’eterno movimento. Il tuo dramma è la maionese impazzita? No problem, brava massaia, ghe pensi mi. La maionese per me non ha misteri né segreti. Vedi cara, come ho già spiegato dalla Clerici, il trucco consiste nel girare imprimendo nel contempo una vibrazione secondo una direttrice uguale e contraria. Eh, cara mia, mica tutti la possono fare. Sa, sono doni di natura.

Lasciamo la cucina e le casalinghe disperate e cambiamo area: zona fitness. Fate un giro per le tv private: venditori vestiti come il signor P., ma un po’ più ululanti, vi convinceranno che il futuro del mondo è nella vibrazione. Piazzeranno modelle poppute e callipigie su pedane vibratili, le quali faranno oscillare muscoli e pannicelli adiposi fino alla resa incondizionata degli inestetismi della cellulite. O se si vuole, fino al deliquio dei pochi spettatori interessati all’articolo.

Anche la buzzicona più disperata, nel breve volgere di poche applicazioni, potrà sfoggiare un fisico da superpassera. Chissà se le verrà anche l’accento caraibico della ragazzotta abbronzatissima, che sguinzaglia pettorali in subbuglio. Tremo davanti al tuo seno.

I benefici investiranno anche il grande gluteo, provvidenzialmente evidenziato in blu, che gode dell’effetto rassodante miracoloso della pedana oscillante. La parte summenzionata, grazie a un generoso effettaccio di morphing, abbandona la sua incerta difformità ameboide per eguagliare l’archetipo della forma assoluta: l’Idea platoniana – si badi bene, non platonica – di culo».

Se all’inizio della storia il signor P. è inafferrabile e sfuggente, dopo qualche tempo incontra il protagonista. Il primo approccio non è molto felice, ma a poco a poco aumenta la familiarità tra i due, al punto che il signor P. sarà semplicemente Giacomo.

Questo insolito connubio tra vittima e carnefice attenua la rabbia del protagonista, ma non ne smorza la voglia di sfrattare l’occupante. Se nessuna istituzione riesce ad aiutarlo, Francesco decide di costringere Giacomo alla fuga semplicemente denunciandolo, puntando i riflettori contro di lui. Potrà aiutare se stesso solo se riuscirà ad aiutare chi si trova nelle stesse condizioni.

Ecco che, con una sorta di gioco di specchi, nel racconto irrompe il racconto. Compare l’idea del libro, che ha il compito di far luce, o come si dice oggi, di sensibilizzare. All’inizio sembra come quando a Caltaracchiotta, comune di 1500 anime, viene organizzata una marcia contro la politica aggressiva di George W. Bush. La Casa Bianca non trema certo. Né il presidente né Condoleezza sapranno mai dell’esistenza dei cittadini pacifisti, ma gli abitanti di Caltaracchiotta si sentiranno un po’ meno lontani da Washington D.C., da Baghdad o da Kabul.

Poi però capita davvero che i riflettori si accendano. Che parlando parlando, tra le stanze di una piccola casa editrice, salotti televisivi e scaffali delle librerie, arriverà davvero qualche soldo per la ricerca. E capita che un giovane ricercatore italiano che stava meditando una fuga oltreatlantico, perché qui ha un contratto cocopro da settecento euro, scopra qualcosa di determinante per la cura, ed entro tempi che non richiedono l’ibernazione del paziente.

Lieto fine, dunque. A sottolinearlo è una lettera di addio del signor P., che alla fine diventa una metafora di tutto il male del mondo.