Recensione

Quest'opera di Giuseppe Risica presenta in elegante veste editoriale validi contenuti poetici. Diversi temi si possono evidenziare in essa, ma i più interessanti sono, a nostro avviso, quello degli affetti familiari e quello della memoria, che a volte s'intrecciano con esiti molto felici. Pensiamo alle poesie “Padre”, “Quel luogo”, “I morti”. Molto belli anche i versi dedicati alla madre. Non tutte le liriche hanno lo stesso valore, come sempre accade in una raccolta di questo genere; alcune di esse (in particolare “Quel luogo” e “Il viaggio”) si collocano nella dimensione della grande poesia, capace di parlare un linguaggio che è di tutti e di tutti i tempi. Il sentimento di rimpianto per la persona cara "troppo amata dagli dei" viene percepito con chiarezza ed intensità da chi legge, mentre quel nocchiero, lontano discendente dell'Ulisse dantesco, è simbolo dell'antica aspirazione a vincere le forze avverse e superare i propri limiti. Nell'opera si avverte un diffuso senso d'inquietudine e di sfiducia (“Quale rotta”, “Da qualche tempo”, ecc.) che ne costituisce il motivo unitario. L'immagine della "rosa dei venti che aveva troppi petali seccati" e quella del "pupazzo di latta con la chiave nella schiena colorata" sono emblematiche di questa condizione esistenziale. Questa, tuttavia, viene talvolta superata, come accade in “Ancora tarda il sonno”, dove si scioglie nella contemplazione del paesaggio e nell'attesa dell'aurora, metafora del riscatto e della raggiunta felicità. Giuseppe Risica, medico, poeta, critico, é nostro apprezzato collaboratore. Sicilia nel mondo, in considerazione dei suoi notevoli meriti culturali, alcuni anni addietro ha inserito la sua scheda bio-bibliografica nella sezione "I Siciliani".